L’esperienza della disabilità è un terremoto emotivo che sconvolge l’esistenza di una persona costringendola a ri-costruire la propria vita su basi diverse.
La trasformazione ha in sé i caratteri di un vero rinnovamento che arriva a coinvolgere la comunità. Tutto quello che era prima viene arricchito di significato e molti aspetti del pensiero critico e filosofico subiscono un’importante svolta.
È il caso di Emmanuel Mounier, filosofo francese, studioso dei mutamenti della società, che orientò la sua riflessione filosofica ad approfondire il senso profondo della condizione umana partendo dal rapporto con la figlia Françoise la quale, poco dopo la nascita, si ammalò di meningite rimanendo gravemente disabile.
Se l’evoluzione è stata piuttosto buona a partire da novembre, il quadro generale, invece, non è molto incoraggiante. La lesione, proprio perché è diffusa e strisciante, non gli sembra meno pericolosa e profonda. Certo, il medico prevede possibilità di recupero di cui è difficile, con un anno di anticipo, stabilire la portata. Ma dubita che possa ritornare completamente normale.
Mournier si trovò perciò a passare attraverso tutte le tappe del dolore e di elaborazione dello stesso. La sua storia personale non è diversa da quella di tanti altri genitori la cui esistenza è nascosta.
Lo stato ultimo di Françoise mi ha creato una grande profonda tristezza che segnerà certamente la fine della mia giovinezza, ma la speranza, mai venuta meno, si attacca alle sue ultime certezze, ed io ho la possibilità di avere un fisico sano che mi mette in quella condizione in cui ci si chiede con spavento quale ruolo giochi l’habitus cristiano, e quanto l’abitudine tout-court e il temperamento.
Dieci giorni dopo, in una lettera diretta alla moglie Paulette, è evidente il passaggio alla fase di comprensione dell’evento, alla ricerca di qualcosa di trascendente che dia senso a tutto e alleggerisca il peso di una responsabilità così grave.
Che senso avrebbe tutto questo se la nostra bambina fosse soltanto una carne malata, un po’ di vita dolorante e non invece una bianca piccola ostia che ci supera tutti, un’immensità di mistero e amore che ci abbaglierebbe se lo vedessimo faccia a faccia.
La situazione della figlia, la cui nascita era stata lungamente desiderata e attesa, e tutte le emozioni scaturite da un evento sfortunato che ognuno vorrebbe capitasse a un altro, portarono Mournier a riflettere cominciando così a mettere le basi della filosofia personalistica che scaturiva dalla presa di coscienza del disordine sociale ed era finalizzata al rinnovamento della società. Argomento principale della sua riflessione è stata la persona.
Il rapporto con la figlia che non parla, lo portò a interpellarsi sul rapporto con l’altro. L’altro come soggetto che dà; aiutare l’altro a dare significa aiutarlo ad esistere come persona che conta per noi, in quanto tale, nella relazione.
In tal modo viene dato significato a esistenze che, apparentemente, ne sembrerebbero prive come quella di Françoise.
Sento come te una grande stanchezza e una grande calma mescolate insieme, sento che il reale, il positivo sono dati dalla calma, dall’amore della nostra bambina che si trasforma dolcemente in offerta, in una tenerezza che l’oltrepassa, che parte da lei, ritorna a lei, ci trasforma con lei.
La crisi personale di uomo e poi di genitore, è passata anche attraverso la ricerca di un miracolo che potesse portare a una serenità d’animo. Ogni genitore, nella medesima situazione, si è trovato a formulare la stessa richiesta in maniera scaramantica, sperando sempre che Dio, nella sua benevolenza, potesse esaudire un sogno impossibile: ritornare alla normalità.
Lourdes, Lourdes? Da tre giorni sono ossessionato da questo nome. Occorre avere un cuore molto semplice per essere in comunione con tutti coloro che hanno creduto in Lourdes…condurrei Françoise a Lourdes non per chiedere il miracolo materiale ma per mettermi in fila e conoscere la gioia di ricondurre a casa una bambina sempre ammalata, la gioia di aver creduto alla gratuità della grazia di Dio (e non al suo automatismo terapeutico)
In un passaggio del diario datato 28 agosto 1940 Mournier sembra rivedere la propria vita affrontando l’imbarazzo di aver augurato la morte alla figlia come unico modo per liberarla dalla sofferenza ma anche, sottilmente, per se stesso.
Il primo sforzo è stato quello di superare la psicologia della sventura. Questo miracolo che un giorno si è spezzato, questa promessa su cui si è rinchiusa la lieve porta di un sorriso cancellato, di uno sguardo assente, di una mano senza progetti, no, non è possibile che ciò sia casuale, accidentale (…) Per molti mesi, avevamo augurato a Françoise di morire, se doveva rimanere così com’era. Non è sentimentalismo borghese? Che significa per lei essere disgraziata? Chi può dire che esso lo sia?
Se non ci fosse stata Françoise il pensiero filosofico avrebbe perso un aspetto importante della riflessione dialettica. Dalla sua breve esistenza è scaturita un’analisi approfondita della relazione con l’altro, a prescindere dalla malattia e dalla disabilità. La mancanza di linguaggio e di autonomia non deve indurre a pensare la persona con disabilità quale oggetto di assistenza ma come soggetto di bisogni che dà e chiede di dare per poter continuare a esistere.