Quali sono i diritti legati alla disabilità? Per prima cosa il diritto della persona con disabilità mentale ad essere considerato una persona, a prescindere dalla malattia. Questo sarebbe già sufficiente ad attivare percorsi educativi e di autonomia che siano rispettosi della dignità umana. Purtroppo la persona disabile viene vista solo come una patologia dotata di gambe e perciò senza la fisiologica evoluzione fisica e psichica. Il bambino con disabilità mentale è un bambino che ha una crescita pari a quella di un altro bambino ma con tempi diversi. Il compito della comunità è di accompagnare a favorire questo sviluppo con la stessa attenzione che viene dedicata ad un coetaneo più fortunato. Invece si impegnano energie solo nel periodo dell’infanzia per poi abbandonare l’adolescente, il giovane e l’adulto come se non ci fosse alcuna possibilità di miglioramento, come se queste persone facessero parte di una specie animale a parte mentre è scientificamente provato che la stimolazione neurale è sempre possibile.
C’è il diritto allo studio che significa poter scegliere la scuola dove mandare il proprio figlio e che questa scuola abbia insegnanti preparati. Bisogna cancellare l’attuale concetto di insegnante di sostegno, molto vicino a quello di una badante di medio livello dedicata – per poche e infruttuose ore – all’alunno con disabilità per sostituirlo a quello di un’insegnante qualificata, utile per tutta la classe. L’istituzione scuola deve uscire dall’idea di accettare passivamente il bambino con disabilità per tenerselo, come da legge, finché è possibile per poi scaricarlo ai servizi sociali. Quattordici anni sono tanti, non devono essere sprecati. È un crimine perché vuol dire non considerare il bambino con disabilità prima e l’adolescente con disabilità poi, importante per la crescita della comunità classe. Il bambino, l’adolescente, ha un carattere come qualsiasi altro essere umano, ha delle emozioni che spesso faticano a manifestarsi o, se lo fanno, usano linguaggi particolari, ha desideri, ha predisposizioni innate. Questo enorme corredo viene di solito dimenticato, non considerato perché ciò che è più facile guardare, fino quasi ad esserne abbagliati, è la sua disabilità, la sua patologia. La malattia lasciamola ai clinici, ai medici. Negli ultimi tempi la corsa alla certificazione ha prodotto un maggiore isolamento all’interno della classe. Gli insegnanti devono fare il loro lavoro e devono farlo al meglio.
C’è poi il diritto ad avere gli ausili che favoriscono la comunicazione e la socializzazione e questi ausili devono essere i migliori possibili. Non è più ammissibile accontentarsi delle carrozzine disponibili che, il più delle volte, non sono adeguate alla struttura del bambino o dell’adulto con disabilità. È scandaloso pensare che, per ottenere l’ausilio necessario per un bambino dislessico, si debba certificare la presenza di un “lieve”ritardo mentale. Quella diagnosi, assolutamente falsa e inesistente, inciderà su quel bambino per tutta la vita. Solo questo basterebbe ad essere furiosi. L’ulteriore carico di rabbia si scatena tutte le volte che siamo costretti a parcheggiare lontano dal posto che dobbiamo raggiungere, perché alla persona autistica viene negato il diritto di poter usufruire della sosta in spazi dedicati in quanto deambulante. Al politico burocrate poco importa che l’autonomia motoria possa essere di pochi metri e così il genitore è spesso costretto a rimettere il figlio in macchina e tornarsene a casa.
Finita la scuola si apre il deserto della vita adulta. La società si prende carico di questo fardello che deve necessariamente trasportare fino alla morte inserendolo in strutture socio-riabilitative che sono in realtà dei luoghi di ulteriore isolamento, di mancanza di senso, dove le attività non hanno alcuno sbocco lavorativo ma sono inutili, un’ulteriore perdita di tempo inframmezzata da tante pause dove si mangia. Il cibo usato per sedare e quando non è sufficiente non c’è alcuna remora di tipo morale all’abuso dei farmaci psichiatrici. C’è invece il diritto ad avere un’occupazione gratificante che non sia il classico laboratorio di ceramica o di produzione delle collane senza poter scegliere tra una varietà di proposte quella più indicata. È vergognoso che tali laboratori siano condotti da personale non qualificato che ha seguito un corso nei fine settimana. Deve finire il malcostume di dare gli scarti a chi non ha più la forza di ribellarsi.
C’è poi un altro importante diritto che è quello dei genitori di persone con disabilità ad essere ascoltati dai medici e dagli educatori perché i primi e veri conoscitori dei loro figli. Basta con il ridurre tutto con la pietà per la sorte ingrata loro capitata, con l’affermazione che il dolore ha ridotto la loro capacità pensante e soprattutto basta con l’analisi del comportamento materno quale causa dell’autismo. Le madri, ma anche i padri, hanno un sapere intuitivo accumulato attraverso l’esperienza di relazione con il figlio ma questa facoltà non viene mai presa in considerazione. I genitori sono spesso combattuti tra le loro intuizioni, questo sapere pratico, esperienziale che proviene dalla loro condizione genitoriale e ciò che viene detto, quasi imposto, da clinici e educatori. La stanchezza, lo sfinimento per una vita tesa sempre a combattere per i diritti del proprio figlio fanno sì che venga gettata la spugna. Ci sono vari modi per farlo: l’abuso di farmaci psichiatrici, l’abbandono in strutture protette, l’omicidio-suicidio. Questo non è un problema del singolo, ognuno di noi deve sentirsi responsabile di questo fallimento per il mancato ascolto, la mancata solidarietà. Dobbiamo cominciare a considerare l’umanità come una polifonia di voci e strumenti differenti che, malgrado le dissonanze, suonino insieme.